Consulta e reintegra post licenziamento per GMO: ecco le motivazioni

La sentenza della Corte Costituzionale sulla incostituzionalità della facoltà del giudice di decidere sulla reintegrazione nel posto di lavoro in mancanza di giustificato motivo

 

 

La Corte costituzionale aveva reso nota lo scorso  24 febbraio 2021 con un comunicato, la propria decisione   sul tema dell'art. 18 della legge 300 1970  come riformato dalla legge 92/2012 , e in particolare sulla facoltà,accordata al giudice,  di valutare se reintegrare o meno  un lavoratore licenziato  per un motivo oggettivo che risulti insussistente, a fronte invece dell'obbligo di reintegra nei licenziamenti per giusta causa.

 

Questo il testo diffuso: 

 

 La Corte costituzionale, riunita oggi in camera di consiglio, ha esaminato la questione di legittimità sollevata dal Tribunale di Ravenna sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, come modificato dalla cosiddetta legge Fornero (n. 92 del 2012), là dove prevede la facoltà e non il dovere del giudice di reintegrare il lavoratore arbitrariamente licenziato in mancanza di giustificato motivo oggettivo. In attesa del deposito della sentenza, l’Ufficio stampa della Corte costituzionale fa sapere che la questione è stata dichiarata fondata con riferimento all’articolo 3 della Costituzione. La Corte ha ritenuto che sia irragionevole – in caso di insussistenza del fatto - la disparità di trattamento tra il licenziamento economico e quello per giusta causa: in quest’ultima ipotesi è previsto l’obbligo della reintegra mentre nell’altra è lasciata alla discrezionalità del giudice la scelta tra la stessa reintegra e la corresponsione di un’indennità..

 

In data 1 aprile 2021 è stata diffusa la motivazione della sentenza che alleghiamo  in fondo all'articolo

 

Vale la pena ricordare che  la riforma Fornero aveva introdotto un ventaglio di 4 possibili tutele  differenziate (da forte, ad attenuata,a solo economica)  per i lavoratori licenziati per giusta causa o giustificato motivo in aziende con piu di 15 dipendenti .

 

Fin dall'inizio  è sempre stata contestata la discrezionalita accordata al giudice  di scegliere tra reintegrazione o risarcimento indennitario nei casi di accertamento della insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo (articolo 18, comma 7, secondo alinea).

 

 al vaglio della Consulta  dal Tribunale di Ravenna . Il giudice di Ravenna aveva appunto indicato come contrastante con gli articoli 3, 24, 41 e 111 della Costituzione  che riguardano i diritti  di uguaglianza, alla difesa, di libertà di iniziativa economica, e a un giusto processo, il diverso trattamento previsto dagli articoli 4 e 5 dell'articolo 18  che prevedono  rispettivamente la discrezionalità del giudice tra tutela economica e tutela reintegratoria nei casi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, mentre è sempre obbligatoria nei licenziamenti per  giusta causa,  a parita di accertata insussistenza del fatto alla base del licenziamento.

 

Secondo il tribunale di Ravenna si tratta di una differenza ingiustificata e discriminatoria contraria al  dettato costituzionale imposto dall’articolo 3, primo comma, della Carta che impone, al contrario, la parità di trattamento di situazioni eguali.

 

La Consulta ha accolto   questa posizione , sancendo dunque  l’obbligatorietà della tutela reintegratoria in tutti i casi in cui venga accertata l' insussistenza del fatto oggettivo, eliminando la facolta di scelta  del giudice 

 

Nello specifico, la Corte ha censurato la norma nella parte in cui prevede che il giudice, “può altresì applicare”, invece che “applica altresì”, la tutela reintegratoria. 

 

Aggiunge anche che alla violazione del principio di eguaglianza si associa l’irragionevolezza intrinseca del criterio distintivo adottato, che conduce a ulteriori e ingiustificate disparità di trattamento. Per i licenziamenti economici, infatti, il Legislatore lascia una facolta di scelta   tra  "2 forme di tutela profondamente diverse – quella reintegratoria, pur nella forma attenuata, e quella meramente indennitaria, senza offrire all’interprete alcun chiaro criterio direttivo".

 

A questo punto la palla torna nel campo legislativo  per la necessaria nuova formulazione normativa.

 

 

 

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